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Lei ha avuto l’onore e il privilegio di dipingere opere per una chiesa e nella storia dell’arte, credo, siano molto pochi gli esempi di donne artiste che abbiano ricevuto questo tipo di commissione così particolare. Come è nato il progetto? Cosa l’ha spinta ad accettare la sfida?

Se ci penso, infatti, adesso mi sembra incredibile essere riuscita da sola a fare tutto questo, che il risultato finale abbia  pienamente soddisfatto e persino superato ciò che avevo meticolosamente progettato su carta, poi, passo passo, realizzato in pittura. Non ho pensato all’ avere vinto sui colleghi uomini quanto piuttosto al fatto di essere stata scelta tra bravi artisti che avevano presentato anche loro dei progetti. Chi mi ha affidato l’incarico aveva avuto occasione di conoscere ed apprezzare il mio lavoro, la mia determinazione e i messaggi che attraverso l’arte amo comunicare con l’adeguata forza espressiva. Avevo anche già dipinto grandi opere che erano conosciute al pubblico. Non posso che essere felice della stima, della fiducia nella scelta del mio lavoro per la realizzazione di una così grande e importante opera e devo ringraziare di questo proprio una donna forte e che stimo, colei che mi ha affidato l’incarico, la direttrice della società Crimisos di Palermo, dott.ssa Rosa Mandina.  

 

Il progetto di dipingere opere destinate ad una Chiesa, oltre che essere impegnativo, presuppone una grande responsabilità a livello comunicativo, soprattutto in un’epoca in cui la comunicazione, quella autentica, vera, sembra essere caduta un po’ in crisi, lei che ne pensa e come si è posta nei confronti di questa grande responsabilità?

Ero consapevole dell’impegno comunicativo che avrebbe comportato. Non avevo mai dipinto temi sacri e non l’avrei mai fatto nel modo tradizionale. La dott.ssa Rosa Mandina, quando per la prima volta mi parlò della nuova chiesa, mi riferì che il parroco voleva che questa comunicasse gioia di vita e buonumore. Il mio valzer di un precedente quadro aveva suggerito questo nuovo modo di volere comunicare alla gente la nuova chiesa. Mi fu chiesto, così, di realizzare un bozzetto per un quadro da collocare nella Nicchia del Coro. La Grande Valse, metafora della vita e del tempo che scorre, raffigurava il mio bel valzer con un’orchestra, un coro di angeli e Dio-direttore d’orchestra al centro di questo microcosmo in cui avevo inserito anche la figura di una piccola violinista con la custodia del suo strumento in mano che guardava da vicino l’orchestra, il futuro. Il parroco, Don Gino Faragone, ne fu entusiasta. Mi disse: “… perché non voglio la solita chiesa dai santi tristi”. Capii allora che avrei potuto realizzare quello che desideravo comunicare. E fu solo l’inizio. Seguì il progetto per la cupola. Infine il grande quadro per l’abside.

 

In queste opere si nota subito uno stile molto personale e un’originalità fuori dal comune che riesce a ben conciliarsi con il messaggio cristiano ed è in coerenza con l’atmosfera liturgica che vi deve essere dentro un edificio sacro quale è una chiesa. Ad esempio, nell’istallazione del Cristo morto lei riesce a dare un messaggio in linea con la teologia cristiana pur rivoluzionando l’iconografia classica. Ci parli di questo suo lavoro e del processo che l’ha portata ad una tale realizzazione…….

Tutto quello che avrei realizzato avrebbe avuto, secondo il mio progetto, un tema comune che è stato una linea guida individuata la quale sarebbe stato impossibile sbagliare: tutto doveva suggerire fiducia, positività, incoraggiamento alla vita. 

Avevo già ideato la forma dell’installazione per la cupola, la grande croce che, fissata al centro della superficie interna della calotta, scendeva maestosa fino al pubblico. Sarebbe stata composta dai panelli fonoassorbenti che dovevano avere la funzione di eliminare l’eco che si produceva (da cui la necessità di  collocare una installazione).

Pensai di ritrarre il corpo di Cristo scomposto sui vari pannelli:  in senso verticale, uno per il capo, uno per il busto, uno per le gambe, l’ultimo per i piedi. Ai lati del busto, a destra e a sinistra, i pannelli per le mani. Ogni parte avrebbe comunicato il trionfo della vita sulla morte. Ed è così che il capo di Cristo non ha più una corona di spine perché il conforto della madre, il cui  capo è ritratto accanto a quello di Cristo, tramuta queste in fiori; Il busto di Cristo diventa una corazza che custodisce i nidi degli uccelli; un neonato dorme placido sulle gambe di Cristo mentre i suoi piedi imponenti calpestano e vincono sul marciume; le mani, infine, recano i segni della ferita ma sono circondate dalle numerose mani solidali di chi ha accolto e condiviso il messaggio.

Anche questo progetto, sia nella forma che nei contenuti piacque molto e persino emozionò la commissione che aveva assistito alla mia descrizione composta sia dal parroco che dai componenti della società Crimisos, addetta alle opere d’arte della chiesa, che dagli ingegneri. 

 

Con il suo lavoro artistico lei ha dato prova di grandi potenzialità artistiche unite ad una sensibilità propriamente femminile, e ci fa riflettere sul fatto che le donne possono dare importanti contributi all’arte sacra che, nei secoli, sembra essere stata a loro preclusa. Lei in un certo senso ha aperto una nuova strada, pensa di poter continuare a coltivare questo filone artistico decorando altre chiese? 

Decorare una chiesa con la propria arte è davvero qualcosa di unico. Sarei certamente felice di poterlo fare ancora.

 

In questo progetto l’arte è letteralmente messa a disposizione della collettività che può goderne ed usufruirne come bene comune. Anche questo 

La prima risposta del gradimento delle opere giunse dallo staff di Famiglia Cristiana entrato in chiesa immediatamente dopo l’installazione della Croce. Gli sguardi di stupore gratificarono immediatamente un percorso di grande impegno sia fisico che emotivo durato più di un anno.

Dall’apertura ufficiale della chiesa, avvenuta nel dicembre del 2015, continuo a ricevere complimenti e richieste di incontro con il pubblico dei fedeli.

Sono molto contenta del fatto che la comunità abbia accettato e condiviso il modo nuovo in cui la chiesa si esprime attraverso opere d’arte che comunicano la sua missione nella quotidianità in un modo non tradizionale.

La giornalista e scrittrice Daniela Scimeca intervista l'artista Josephine Bonì nella sua galleria

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